venerdì 29 aprile 2011

La dignità della persona non va confusa con l'individualismo

La morte non è un diritto ma un limite all'esistenza umana

Torino, 29 aprile 2011. - Il pensiero liquido e nichilista contemporaneo, imperante anche nella categoria degli intellettuali laici e progressisti, sta producendo falsità, che purtroppo innervano la società e generano angoscia.
’ultimo esempio è la descrizione del problema dell’alleanza terapeutica fatta in articoli e trasmissioni televisive.
Le auto-proclamate coscienze critiche della Nazione, che pensano di “leggere” i bisogni degli italiani, confondono o peggio ignorano la differenza tra omicidio e suicidio, tra diritto e limite.
Un conto è morire come un samurai, scegliendo volontariamente e attuando questa volontà da soli, altro è pretendere che Caio attui il desiderio di morire espresso da Tizio tempo prima.
L’atto del suicidio è un progetto di breve durata, l’altro un desiderio, che come tale potrebbe cambiare nel corso della vita. Chi pensa, dice e scrive che suicidio e fine vita sono sinonimi ignora o finge di non sapere, che il tempo è una importante variabile giuridica.
Una ulteriore menzogna, sulla similitudine di queste due pratiche, è la dimensione sociale dell’atto. Il suicido è un fatto, assolutamente privato che può restare del tutto sconosciuto alla cronaca. Solo suicidi di personaggi “famosi” diventano notizie.
L’altro è un fatto collettivo : infatti la sua realizzazione richiede una serie di azioni volontarie di altre persone.
Mi chiedo: se una persona esprime il desiderio di morire,e quindi non riconosce a Dio questa facoltà, perché non lo realizza quanto è ancora in grado di intendere e volere, perché deve coinvolgere altri? Perché deve andare dai giudici e fare di un problema individuale un problema politico?
Ma un’altra falsità, anch'essa divulgata a mani base da questi demoni, è più sottile e pericolosa, quella sul concetto di vita.
Dal punto di vista biologico la vita si ottiene, per tutti i mammiferi, dall’unione di un maschio con una femmina, quindi non è un proposito o una volontà di chi nasce.
Chi decide che io sia nato, non sono io: la dottrina cristiana parla di vita come dono.
Perciò è assolutamente falso che la vita è mia e faccio cosa voglio. Quando si nasce si hanno dei diritti per crescere bene per formarsi per avere pari opportunità ecc., ma la vita non ci appartiene. Pensare che la vita sia mia significa affermare che la morte sia un diritto e non un limite dell’esistenza umana, un errore di programmazione non un fatto assolutamente naturale.
La cultura del suicidio, cioè di chi parla di questa pratica, ma poi non è detto che la segua è semplicemente la liquefazione del complesso di Edipo che esiste solo nella teoria della società conflittuale, è cioè una personalizzazione della lotta di classe di marxiana memoria. Non potendo più uccidere il padre, perché oggi è socialmente inesistente. uccido me stesso.
L’occidente e l’Italia, in particolare, hanno una cultura che non è quella del Giappone, per noi il Presidente della Repubblica non è una divinità, mentre lo è per i Samurai l’imperatore.
Come ci ricorda Fabrice Hadjadjquando mi avvertiranno che alla fine del mondo non manca che un solo anno, non rinuncerò ad amare mia moglie,…. Perché so che questa vita non serve per avere un futuro ma perché ciascuno abbia la vita eterna”. Questo è il vero senso della vita.




Carlo Baratta
pubblicato su trentino libero. quotidiano on line

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