mercoledì 27 aprile 2011

Il Novecento: dalla società dei lumi al cazzeggio nichilista

L'uomo moderno non ama, si rifugia nell'amore; non spera, si rifugia nella speranza; non crede, si rifugia in un dogma

Torino, 23 aprile 2011. - Il XX secolo ha prodotto le condizioni per l’annichilimento dell'umanesimo e per la riduzione della persona a oggetto sociale. L'Europa ha perso il ruolo di guida spirituale e politico che la contraddistinse, grazie alla filosofia Greca, all' Impero Romano, alla presenza della Santa Sede.
Il concetto di secolarizzazione è quello che spiega gli ultimi secoli della nostra storia, è il moderno criterio di giudizio di tutto. Secondo questo criterio tutto deve essere già previsto, tutto deve essere “norma”. L’imprevisto è considerato sintomo di un fare reazionario, che il diritto moderno non prevede, perché la realtà che l’uomo vuole vedere non può prevederlo. Invece la realtà in se non esclude un imprevisto, un fatto che non si può prevedere. Questo errore è apparso sovente nel novecento.
Questo secolo ha però riscoperto l'imprevedibile e ha permesso di verificare che il progresso scientifico può produrre anche Auschwitz e Hiroshima, Cernobyl e Fukuahima. Di conseguenza la finitezza della specie umana non è solo individuale ma collettiva.
Il novecento è stato l'apoteosi e poi la morte delle ideologie, del progresso perchè, invece di dare vita a una società più giusta, ha prodotto i totalitarismi.
A questo si aggiunga la nevrotica tendenza a contrastare il cattolicesimo con l’ipotesi darwinista che riduce l'umanità ad un prodotto dovuto al caso e alla competizione tra le specie e dentro la specie. Con questo brodo culturale è difficile progettare il futuro individuale o collettivo.
I grandi maitre a penser della modernità hanno copiato malamente dai concetti del cristianesimo. Si pensi all’idea della dignità della persona tradotta nell’ l'individualismo, o a quella sul libero arbitrio servita per costruire il liberalismo, oppure l'esigenza della giustizia sociale, interpretata malamente, che ha prodotto il socialismo.
La società occidentale può ritornare agli antichi livelli di civiltà, solo riappropriandosi della sua tradizione, che è quella ebraica e cristiana.
Le speranze mondane sono morte. la speranza teologale non può morire. Anzi come afferma il regnante Pontefice nell’enciclica Spe Salvi la speranza è una cosa tangibile.
Razionalità e speranza devono tornare a parlarsi. Il pericolo che corriamo non sta nella mancanza completa di uno o dell’altra, ma nel loro divorzio: se razionalità e speranza vanno per conto loro, gli effetti sono devastanti. Il Novecento l’ha dimostrato, promuovendo da una parte un’intelligenza puramente funzionale, da burocrati, e dall’altra parte sentimenti liquidi temporanei, d'indifferenza al singolo,
L’inatteso è, invece, la nostra legge, l’imprevedibile è qualcosa che non possiamo programmare: noi cerchiamo di dominare le cose, ma succede qualcosa che ci richiama alla realtà. Le cose avvengono, anche se non sono in programma, l’avvenimento, come insegna Alain Finkielkrauiìt, deve diventare il «metodo supremo di conoscenza”.
Carlo Baratta*

http://www.trentinolibero.org/index.php?op=new&id=4255


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